Empowerment: si può avere il controllo sulle nostre vite?

Con Maria Beatrice Toro

L’empowerment è un percorso per aumentare il livello di padronanza e controllo che abbiamo sulle nostre vite. Innalzare il proprio livello di padronanza è importantissimo in diversi campi:

1 – il lavoro, luogo in cui se si ha un po’ di coinvolgimento nelle decisioni ci si sente ovviamente più motivati. E’ infatti piuttosto frustrante sentirsi come dei pezzetti di un meccanismo su cui non abbiamo controllo: pensate a quanto possa essere alienante svolgere mansioni di cui non comprendiamo il senso o, peggio, che a nostro avviso non sono particolarmente utili, o sono proprio una perdita di tempo.

2 – la comunità territoriale di cui facciamo parte, ad esempio il nostro condominio, o il nostro quartiere, o pese o città. Sentire di contare poco sulle decisioni che influenzano la qualità delle nostre vite è, ancora una volta, qualcosa di demotivante, che fa in parole semplicissime, un po’ passare la voglia di impegnarsi.

3 – il nostro genere: c’è una lunga storia di empowerment basato sul genere e, se guardiamo al passato, il movimento femminista stesso, a partire dalle battaglie per il diritto di voto, è un pezzo della storia del nostro Paese.

In ambito sanitario

Nell’ambito sanitario l’empowerment è importantissimo perché a ciascuno di noi va – nel rispetto dei protocolli – sempre lasciato un margine di condivisione del progetto terapeutico ed è fondamentale accedere a tutte quelle informazioni che ci consentono di gestire il quotidiano con il massimo dell’autonomia possibile. In salute, il coinvolgimento nel processo di cura è davvero parte della cura stessa e ne influenza l’efficacia.

Quando una terapia ci convince, siamo più precisi nell’assumerla e, quando c’è un buon rapporto con i curanti, siamo più disponibili a recepire le loro indicazioni.

Nessuno è diverso o, se preferite, un po’ lo siamo tutti

La base dell’empowerment è il confronto tra persone che vivono una condizione simile, nel caso sanitario mi riferisco a persone che presentano una condizione di salute simile. Parlare con chi vive la nostra medesima condizione può dare sollievo e forza, oltre che farci sentire un po’ meno “diversi”. Nessuno è diverso, o, se preferite, in qualche modo lo siamo tutti, ma, il sentirsi diversi è una condizione profondamente triste e a volte perfino depressiva. Il senso di appartenenza a un gruppo, o anche, il senso di comune appartenenza al genere umano correlano con una migliore autostima e senso di fiducia, di autoefficacia, di empatia.

Consente anche di rappresentare alle Istituzioni i propri interessi in modo responsabile ed efficace.

Ultimamente, sono sorti anche gruppi di ricerca guidati dai pazienti, dopo la pandemia. L’inclusione nel determinare le linee di ricerca degli scienziati non è una cosa banale, perché promuove un modo di affrontare i problemi che tiene conto delle esigenze delle persone.

Cerchiamo di aumentare l’empowerment: qualche suggerimento

La mia proposta concreta di oggi è di soffermarci un po’ a riflettere sul grado di empowerment che sentiamo di avere nelle nostre vite per impegnarci ad aumentarlo laddove serve. Se ci entriamo già adeguati a questo riguardo, possiamo sempre considerare di aiutare gli altri. Sia che vogliamo aiutare noi stessi o qualcun altro, un piccolo inizio può essere la correzione del modo in cui parliamo a noi stessi.

A volte non siamo gentili e usiamo parole dure, catastrofiste e giudicanti, come “non sono capace”, “non ce la posso fare”, “ho sbagliato tutto nella vita” e chi più ne ha più ne metta…

Proviamo a sostituirle con:

“E’ ok non farcela al primo colpo. Riproviamo e, se non funziona, proviamo in un altro modo.”

“E’ normale non avere sempre ragione, nessuno nasce fornito di tutte le risposte.”

“Ho diritto ad essere esattamente quello che sono, sono perfetto così.”

E… quando facciamo qualcosa per bene… possiamo dire: “Ottimo lavoro! Stavolta ho avuto veramente una grande idea”!

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