Medicina di Genere: la Best Practice del Policlinico di Bari

Il concetto di Medicina di Genere nasce dall’idea che le differenze tra uomini e donne in termini di salute legate non solo alla loro caratterizzazione biologica (definita dal sesso) e alla funzione riproduttiva, ma anche a fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali definiti dal termine “genere” impattino sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.

Nei due sessi, infatti, molte malattie presentano una diversa frequenza, sintomatologia e gravità. Vi sono anche risposte alle terapie differenti, con più frequente comparsa di reazioni avverse nel sesso femminile.

Nel nostro Paese dal giugno 2019 è in vigore il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere previsto dall’articolo 3 della Legge 3/2018. Questa legge fu la prima in Europa e nel mondo emanata con l’intento non solo di garantire ad ogni persona la cura migliore, ma di farlo nel rispetto delle differenze, rafforzando il concetto di “centralità del paziente” nell’ottica della medicina personalizzata.

Cosa significa tutto ciò per il Sistema Sanitario italiano? A che punto siamo con l’applicazione delle disposizioni ministeriali nel contemplare la medicina di genere nella preparazione dei PDTA? Ne abbiamo parlato con Florenzo Iannone, Professore Ordinario di Reumatologia – Direttore U.O.C. Reumatologia Az. Policlinico-Universitaria, Direttore Scuola di Specializzazione di Reumatologia, Università degli Studi Aldo Moro di Bari.

Professor Iannone, c’è relazione tra medicina di genere e centralità del paziente?

La consapevolezza delle differenze di genere è sempre più radicata e considerare sia le differenze biologiche definite dal sesso sia quelle socioeconomiche e culturali definite dal genere è ormai un’esigenza per l’intera comunità scientifica, sia italiana sia internazionale.

La valutazione delle differenze di sesso e genere costituisce oggi un elemento fondamentale per lo sviluppo di una medicina equa ed appropriata e l’utilizzo di indicatori specifici deve costituire parte integrante anche nei programmi di ricerca.

Per una visione globale del concetto di salute che abbia al centro il paziente occorre da un lato definire percorsi diagnostici, preventivi e terapeutici specifici per ogni sesso, valutati anche su stili di vita, ambiente e condizioni socioeconomiche della persona; dall’altro, quello della “centralità del paziente” è un modello clinico di riferimento, come indicato nel Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere.

In che modo il Piano coinvolge il sistema sanitario?

Una delle quattro aree in cui il Piano è articolato riguarda i “Percorsi clinici (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione)”. L’obiettivo generale è garantire ad ogni persona la prevenzione, diagnosi e cura con un approccio che tenga conto delle differenze di genere. Ciò idealmente dovrà concretizzarsi in tutte le età e in ogni gli ambienti di vita e di lavoro.

Le strutture sanitarie su tutto il territorio nazionale devono quindi attivare dei percorsi specifici in questo senso, per assicurare una continuità assistenziale efficace ed efficiente in un’ottica di genere.

Un punto chiave rimane la sistematizzazione dei dati e delle procedure: è necessario identificare e monitorare degli indicatori specifici di genere e mettere a punto un sistema di raccolta e analisi dati. Condividere degli standard professionali e organizzativi è fondamentale per arrivare a un’interazione completa tra strutture.

Qual è l’esperienza del Policlinico di Bari?

L’AUOC Policlinico di Bari, unica struttura in Puglia, ha predisposto un documento di Consensus propedeutico alla formalizzazione del PDTA Regionale nella Rete Reumatologica Pugliese, in ottica di Medicina di Genere.

L’obiettivo è garantire l’appropriatezza del percorso definito per il paziente con malattia autoinfiammatoria IL-1 – Mediata, assicurando equità ed uniformità di accesso e di assistenza nelle fasi diagnostica, clinica, terapeutica e riabilitativa.

Sono stati definiti degli indicatori genere-specifici da monitorare per le patologie di cui sopra; perciò, ciascun indicatore è da differenziarsi in base a sesso, età, etnia. L’obiettivo è raccogliere dati per valutare incidenza e prevalenza delle patologie Monogeniche multifattoriali.

Quali sono gli indicatori genere-specifici da monitorare?

Anzitutto gli indicatori biologici (età, sesso, etnia, peso, altezza), socioeconomici (livello di istruzione e attività professionale) e sugli stili di vita (alimentazione, attività sportiva, sedentarietà). Seguono le abitudini voluttuarie (fumo di sigaretta, uso di droghe e/o alcool). Va valutata anche la presenza di disabilità, in termini di giorni di lavoro persi, supporto di un caregiver).

Poiché la risposta ai farmaci è uno degli aspetti più marcatamente di genere, è importante definire degli indicatori di terapia: aderenza (sia al trattamento sia al follow-up), l’eventuale politerapia dovuta a comorbidità, l’efficacia della terapia, da misurare anche in base al miglioramento di marcatori clinici specifici e la tossicità dei farmaci, in termini di eventi avversi (anche nei pazienti in politerapia).

Centralità del paziente significa anche considerare parametri come l’accesso alle cure, ovvero la presenza di una struttura ospedaliera o meno nelle vicinanze della persona e quanto è difficoltoso raggiungerla. Un altro esempio è la valutazione di rischio legati all’ambiente in cui vive.

Perché è stato scelto l’ambito delle sindromi autoinfiammatorie?

Le sindromi autoinfiammatorie, infatti, sono un gruppo di patologie rare, caratterizzate da risposta infiammatoria, apparentemente spontanea. L’esordio clinico è precoce, solitamente nei primi 10 anni di vita. Hanno andamento cronico, perciò potenzialmente gravate da complicanze a lungo termine; tuttavia, essendo condizioni molto rare e di recente descrizione, un ritardo nella diagnosi è comune ed è frequente la prima osservazione nell’età adulta.

Data la rarità di queste patologie e, quindi, la loro scarsa diffusione, molti casi restano non diagnosticati per cui è necessario promuoverne la conoscenza al fine di favorire l’approdo del paziente presso un centro di riferimento per effettuare la diagnosi e impostare un corretto management della patologia.

Quali saranno i benefici per i pazienti?

I benefici per i pazienti sono una presa in carico tempestiva, appropriata e standardizzata, attraverso strumenti condivisi in funzione del livello di criticità della patologia, dell’età e dei setting assistenziali.

Il percorso va verso l’obiettivo di garantire a ogni persona la migliore cura, nell’ottica della centralità del paziente e della personalizzazione delle terapie.

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